martedì 10 febbraio 2015

"Giornata del ricordo": Vite negate, massacri, falsità. Anche la verità fu infoibata.


Oggi la "Giornata del ricordo" per celebrare gli italiani cacciati e uccisi da Tito dopo la guerra. Una tragedia che nella gerarchia del dolore sta sempre dietro le vittime delle dittature fasciste

Cos'era accaduto sulle coste orientali italiane dell'Adriatico dopo la guerra? Niente di rilevante, avrebbero voluto rispondere chi governava l'Italia e chi da sinistra faceva l'opposizione.
Soltanto un nuovo confine segnato con un tratto di penna sulla carta geografica dell'Europa. Vite negate. Amori, amicizie, speranze sconvolte, sentimenti calpestati, che per pudore, in silenzio, lontano da occhi inquisitori, l'esule arrivato dall'Istria, dalla Dalmazia, da Fiume chiudeva nel dolore, forse sperando che questo dignitoso comportamento lo aiutasse ad essere accolto da chi non ne gradiva la presenza. Si chiudeva così il cerchio dell'oblio, e una pesante coltre di omertà si distendeva sopra le sconvenienti ragioni degli sconfitti.
La Storia non apre le porte agli ospiti che non ha invitato. Sceglie i protagonisti e i comprimari, anche se gli esclusi si sono dati tanto da fare. Esuli, allora, con la nostalgia del ritorno, con il dolore dell'assenza. L'esule dei Paesi comunisti non è mai stato troppo gradito; le sue scelte giudicate con sospetto. Nella gerarchia morale della sofferenza, egli rientra stentatamente, sì e no, agli ultimi posti, molto indietro rispetto agli esiliati delle dittature fasciste e dei sanguinari regimi latino-americani.
In una intervista a Panorama del 21 luglio 1991, Milovan Gilas dichiarava tra l'altro: «Nel 1946, io e Edward Kardelij andammo in Istria a organizzare la propaganda anti italiana ... bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto». Gilas era il braccio destro di Tito, l'intellettuale del partito comunista jugoslavo; Kardelij era il teorico della «via jugoslava al comunismo», punto di riferimento dell'organizzazione della propaganda anti italiana.
Dunque, due protagonisti di primissimo piano del partito comunista jugoslavo impegnati a cacciare con «pressioni di ogni tipo» gli italiani dalle loro case, dal loro lavoro, dalle loro terre. Tra le pressioni di ogni tipo ci furono il terrore e il massacro: una pulizia etnica. A migliaia gli italiani, senza nessun processo, senza nessuna accusa, se non quella di essere italiani, venivano prelevati di notte, fatti salire sui camion e infoibati o annegati. Non si saprà mai quanti furono ammazzati. A decine di migliaia: una stima approssimativa è stata fatta sulla base del peso dei cadaveri che venivano recuperati dalle foibe; nulla si sa degli annegati.
E poi gli esuli: oltre 350mila, che lasciarono tutto, pur di rimanere italiani e vivi. Accolti in Italia con disprezzo, perché solo dei ladri, assassini, malfattori fascisti potevano decidere di abbandonare il paradiso comunista jugoslavo. Ricordo bene quando a Venezia arrivavano le motonavi con i profughi: appena scesi sulla riva, erano accolti con insulti, sputi, minacce dai nostri comunisti, radunati per l'accoglienza. Il treno che doveva trasportare gli esuli giù verso le Marche e le Puglie, dai ferrovieri comunisti non fu lasciato sostare alla stazione di Bologna per fare rifornimento d'acqua e di latte da dare ai bambini.
Alla gente che abitava l'oriente Adriatico, fu negato dal nostro governo il plebiscito che avrebbe dimostrato come in quelle terre la stragrande maggioranza della popolazione fosse italiana. Prudente, De Gasperi pensava che l'esito del plebiscito avrebbe turbato gli equilibri internazionali e interni col PCI. A quel tempo, Togliatti aveva fatto affiggere questo manifesto a sua firma: «Lavoratori di Trieste, il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e collaborare con esse nel modo più stretto». Per esempio, sostenendo, come voleva il Migliore, che il confine italiano fosse sull'Isonzo, lasciando a Tito Trieste e la Venezia Giulia.
I liberatori comunisti non potevano essere degli assassini: e così, sotto lo sguardo ipocrita dell'Italia repubblicana, con la vergognosa collaborazione degli storici comunisti, disposti a scrivere nei loro libri il falso, quella tragedia sparisce, non è mai accaduta. Ma il cammino trionfale della Storia dei vincitori si distrae e la verità incomincia ad affiorare. Non si dice con ottimismo che il tempo è galantuomo? Stavolta sembra di sì. Il 10 febbraio (giorno della firma a Parigi nel 1947 del trattato di pace) viene istituita nel marzo 2004 la «Giornata del ricordo», per celebrare la memoria dei trucidati nelle foibe e di coloro che patirono l'esilio dalle terre istriane, dalmate, giuliane. Ci sono voluti sessant'anni per incominciare a restituire un po' di verità alla Storia: adesso sarebbe un bel gesto che il nuovo Presidente della Repubblica onorasse questa verità ritrovata, recandosi al mausoleo sulla foiba di Basovizza per chiedere scusa alle migliaia di italiani dimenticati, offesi, umiliati, massacrati soltanto perché volevano rimanere italiani.
Di Stefano Zecchi (Giornale), 10/02/2015                                                            

lunedì 9 febbraio 2015

Foibe: la giornata del ricordo (10 febbraio 2015)


Foibe: la giornata del ricordo - Probabilmente ad alcuni questa parola dice ancora poco se il tema non fosse stato portato alla ribalta con una giornata della memoria meritata quanto agognata INIZIAMO A RICORDARE Foibe, la storia dimenticata. Dopo l'8 settembre del 1943 i territori istriani, giuliani e dalmati, dapprima sotto l'influenza tedesca, vengono poi occupati dai partigiani comunisti di Tito. Titini, unitamente ai partigiani comunisti italiani, nutrivano il progetto di avanzare sino ad Udine, approfittando dei troppi indugi degli Alleati in quella zona e d'armi e mezzi che gli Alleati stessi gli fornivano. In realtà non puntavano semplicemente alla conquista di terre, ma rivelarono ben presto l'odio etnico che li animava e l'intenzione di “deitalianizzare” i territori occupati con metodi terribili. Italiani, senza particolari distinzioni di sesso, età o politiche, venivano prelevati dalle loro case e poi eliminati, colpevoli di non partecipare attivamente a piani espansionistici di Tito.

Per gli amanti dei numeri ricordiamo che il terrorismo etnico dei titini costrette 350000 persone a fuggire dalle proprie terre e altre 10000, anche se le cifre sono molto incerte, furono uccise con le modalità più atroci. Le vittime erano poste sull'orlo di una foiba e legate di spalle a due a due con filo di ferro; poi si sparava al primo cosicché, cadendo, avrebbe trascinato con se pure il secondo, spesso sottoposto ad un'agonia terribile se i ripetuti colpi contro le pareti rocciose dalla foiba non fossero stati sufficienti a procurargli presto la morte. Nella sola foiba artificiale di Basovizza, profonda 256 m, è stato fatto un tragico calcolo: considerando la profondità del pozzo prima e dopo la strage, si è rilevata una differenza di una trentina di metri, 300m3 riempiti con circa 2000 cadaveri.

Ma l'“infoibamento”, seppure il metodo più conosciuto, non fu l'unica modalità per sradicare l'italianità dall'Istria e dalla Dalmazia: campi di concentramento situati a Borovnica, Maribor, Aidussina e in molte altre zone dell'ex-Jugoslavia diedero il loro macabro contributo. A far riscoprire questo stralcio di storia dimenticata hanno contribuito in modo più efficace che mai gli appuntamenti televisivi di questi giorni in vista della “Giornata del Ricordo” (10 febbraio): dal puntualissimo “Porta a Porta” sino al film “Il cuore nel pozzo”. Sorge tuttavia spontanea una considerazione: possibile che solo ora, dopo 60anni, possiamo sentirci soddisfatti per l'uscita del primo film sulle stragi di cui gli Italiani stessi furono vittime? Certo la cinematografia non ha atteso altrettanto per film sulla Shoah -ad esempio-, ma per quale motivo? Probabilmente perchè le Foibe non sono ancora entrate nella cosiddetta “memoria condivisa”.